Il marchio che contraddistingue una catena in franchising è il segno distintivo che l’affiliante concede in utilizzo agli affiliati, all’interno di un rapporto economico e contrattuale più ampio, contro pagamento di un corrispettivo.
Il marchio è comunque un bene immateriale oggetto di sfruttamento economico da parte dell’impresa affiliante, e contribuisce in misura determinante a comporre la valutazione della stessa.
Esso generalmente possiede un valore ben superiore al cosiddetto “valore di libro” qualora infatti, come spesso accade, il marchio venga auto prodotto (o ideato) in azienda, esso non appare nel bilancio aziendale, o vi appare a cifre modeste.
Invece il suo valore aumenta man mano che ne aumenta la diffusione e la conoscenza da parte della clientela e, quanto più sono immateriali i servizi prestati dal franchisor, tanto più il suo valore si identifica con il valore dell’avviamento di quest’ultimo. Indipendentemente dal fatto che il marchio venga stimato autonomamente o come componente dell’avviamento aziendale, solo soffermare l’attenzione su tale fattore consente un realistico apprezzamento del valore di un’azienda che operi in qualità di franchisor.
Le metodologie di analisi “tradizionali” si rivelano pertanto a tal fine non appropriate in quanto tese a determinare il valore dell’avviamento aziendale mediante la determinazione del “reddito medio prospettico” del franchisor, assumendo come base la media dei risultati storici di un limitato numero di esercizi, nei quali la proporzione fra i ricavi conseguiti ed i costi relativi al marchio può non essere in linea con i livelli da recepire nelle proiezioni.
Il marchio incide in misura significativa sul Conto Economico aziendale ed in duplice direzione:
in senso negativo, in quanto il Conto Economico, accanto all’imputazione di congrue quote di ammortamento per gli altri beni otre che dei marchio stesso, se acquisito da terzi a titolo oneroso, deve assorbire anche adeguate imputazioni di oneri per la sua salvaguardia e valorizzazione (spese di pubblicità e di promozione e spese legali);
in senso positivo, quanto le royalties o i corrispettivi in altro 1110(10) determinati dall’Affiliante, remunerano anche la concessione dell’esclusiva dei marchio e l’autorizzazione all’utilizzo di insegne ed altri segni che lo riproducano.
Talvolta, soprattutto nelle iniziative di franchising di recente costituzione o per marchi di recente introduzione sul mercato, il fattore di assorbimento di costi da parte del Conto Economico è prevalente rispetto alla capacità di produrre reddito.
E pertanto necessario, per effettuare una corretta valutazione, che l’analista estenda la sua analisi al marchio in quanto fattore critico del successo aziendale in grado di determinare soprattutto in prospettiva reali differenziali competitivi. Primo passo sarà effettuare la verifica che esistano i presupposti affinché il marchio incorpori un plusvalore apprezzabile, e cioè che esso:
sia oggetto di un significativo flusso di investimenti, quali promozione, tutela nei confronti di imitatori e mantenimento di efficienza della rete di vendita;
sia all’origine di apprezzabili benefici economici differenziali, grazie alla fidelizzazione del consumatore, alla costituzione di barriera all’entrata di altri competitors e ad eventuali politiche di co-branding;
sia, almeno teoricamente, trasferibile.
Una volta appurato che il marchio oggetto di indagine possieda tali caratteristiche, l’analista si affiderà a metodologie più appropriate e sofisticate, quali le seguenti:
a) il metodo del costo di riproduzione, che consiste nell’attribuire al marchio un valore pari agli investimenti necessari per promuovere una nuova iniziativa in franchising di analoga dimensione e diffusione;
b) il metodo dell’attualizzazione dei margini incrementali dovuti ai differenziali di prezzo e/o volume consentiti dal marchio, che consiste nell’attribuire al marchio quei plusvalori che l’azienda consegue rispetto ai concorrenti;
c) il metodo dell’attualizzazione delle royalties ottenibili, che valorizza l’aspetto finanziario implicitamente contenuto nella remunerazione di un fattore intangibile;
d) metodi empirici, tratti dall’esperienza di valutazione di aziende similari.
Solamente l’applicazione di uno (o di una combinazione) di questi metodi, con gli opportuni adattamenti alle caratteristiche del franchisor e del settore in cui opera, può rispondere al legittimo desiderio di quest’ultimo di conoscere il valore del marchio e dell’avviamento della propria azienda. Non vogliamo dilungarci sull’applicazione dei metodi in questione, che potrebbe essere oggetto di un nostro prossimo intervento. Riscontriamo invece che dei plusvalori espressi dai marchi concessi in franchising beneficiano di riflesso anche gli imprenditori affiliati; questi ultimi, in caso di cessione della propria azienda, otterranno il riconoscimento di un affiliato superiore rispetto ad una azienda concorrente che non possieda altrettanta visibilità.
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